MERCOLEDI DELLA PAROLA
21 DICEMBRE 2005
Riflessione mercoledì 21 dicembre ’05
Abbiamo iniziato questi incontri meditando il prologo di Gv che ascolteremo il giorno di Natale ma anche le finali del vangelo di Gv, soprattutto con l’epilogo del cap. 20 che ci ricorda che il vangelo di Gv è stato scritto per suscitare la fede, ma potremmo dire che ogni pagina, ogni versetto, ogni parola, ogni immagine del IV vangelo è in funzione della fede, il cardinale Martini ha appena pubblicato un libro di esercizi spirituali sul vangelo di Gv intitolandolo “Il caso serio della fede”, questo per dire come la fede è davvero nel cuore di questo vangelo.
Il 2° incontro l’abbiamo dedicato alla figura e alla testimonianza di Giovanni Battista, figura centrale dell’Avvento.
Il 3° incontro abbiamo letto parte del cap. 6 del vangelo di Gv: che ci ha permesso di fare un discorso sull’Eucaristia, pane di vita.
Questa sera meditiamo su un brano del cap. 10 di Gv, capitolo che viene proclamato la IV domenica di Pasqua chiamata anche domenica del buon Pastore.
Con il capitolo 10 di Gv abbiamo un altro dei passi più riusciti: è inserito nella festa della dedicazione del tempio, quindi in inverno ce lo dice il v.22. Questo non ci autorizza a spezzare il brano in due parti, anche se io per brevità ho riportato solo fino al v. 18, perché i due tronconi: vv. -18 e vv. 24-29, sono fortemente uniti dal tema del pastore e del suo gregge.
Solitamente questo brano viene chiamato la parabola del buon pastore, in effetti è un parabola anche se un po’ diversa dalle parabole che troviamo nei sinottici, anzi Giovanni non usa il termine parabola ma preferisce l’altro, non identico, di similitudine.
Vi si parla di un ovile, probabilmente circondato da un muretto, altrimenti non si capirebbe la funzione della “porta” e nemmeno la scalata truffaldina (vi sale da un’altra parte) del ladro. Durante la notte in questo ambiente vengono custodite le pecore. Possiamo pensare a diversi padroni che mettono insieme diversi gruppi di piccoli animali: infatti il pastore protagonista porta fuori le “sue” pecore. La custodia delle pecore è affidata ad un guardiano notturno, chiamato letteralmente “portiere”, perché sarà lui il mattino dopo ad aprire (dall’interno) la porta ai vari padroni che vengono per portare al pascolo i propri animali.
La scena che forma la sostanza della parabola si svolge al mattino, il pastore arriva, bussa e si fa riconoscere dal guardiano ce gli apre, ma le “sue” pecore lo hanno già riconosciuto dalla voce e cominciano già a muoversi. Si crea un po’ di confusione, ma tutto deve compiersi perché nell’ovile ci sono anche altri animali; allora il pastore chiama le “sue” a una a una per nome, perché le conosce bene e non le confonde con le altre. Esse possono incominciare a uscire. Ma l’operazione non è semplice, e tocca al pastore aiutarle spingendole e gridando; finalmente il piccolo gregge è al completo e può cominciare la marcia, forse anche lunga verso i luoghi del pascolo. Il pastore cammina davanti, perché lui sa la strada, conosce bene il sentiero le svolte che ci sono; le pecore lo seguono guidate dalla “sua” voce, che “conoscono” molto bene e non confondono con quella di nessun altro.
L’accento è posto sul cammino del piccolo gregge che segue i “passi” del pastore.
A questa scena ne succede un’altra che si svolge non più al mattino ma, di notte.
Non si tratta più del pastore proprietario ma di un “ladro” o di un “brigante”.
Non potendo entrare dalla porta, ben custodita dal guardiano, tenta una scalata dal muricciolo non troppo alto. È un impresa non difficile; difficile è farsi seguire dalle pecore che lo percepiscono come estraneo, ne hanno paura e lo sfuggono: “non lo seguiranno di sicuro” perché “non conoscono” la sua voce.
Fuori dalla parabola il commento è semplice: il pastore è Gesù le pecore i suoi discepoli.
Fra loro c’è intesa: il pastore conosce per nome le sue pecore, le pecore conoscono bene la voce di Gesù. E lo seguono. Tutto si concentra nel conoscere e nel seguire Gesù.
Gesù rivendica a se stesso, come il Messia inviato da Dio, la funzione di pastore: il popolo d’Israele è un gregge “sbandato” pecore senza pastore (Mc 6,34), Gesù se ne commuove e si mette alla sua testa per guidarlo alla salvezza.