MERCOLEDI DELLA PAROLA
30 NOVEMBRE 2005
Riflessione della liturgia della parola mercoledì 30 novembre 2005.
Vorrei rendere grazie al Signore, perché ci fa fare questo cammino insieme quest’anno su un vangelo, il vangelo di Gv un po’ difficile ma bello:
intanto mi preme sottolineare quello che questo incontro non vuole essere:
non è un corso di esegesi (*spiegazione) : non è lo scopo né io sarei il più adatto a tenerlo, non è un vero e proprio centro di ascolto: dove potrebbe esserci maggior spazio dato al confronto o alla discussione, allora che cos’è?
È un momento di preghiera, dove la preoccupazione più grossa credo sia sostare, per metterci in comunicazione con Lui,non dovete nemmeno preoccuparvi di ascoltare le mie parole, ma mettervi in ascolto dello Spirito Santo che è l’Unico Maestro Interiore. È lui che dobbiamo ascoltare, è lui che ci guida.
Lì ho chiamati mercoledì della Parola, perché tutti quanti, sacerdoti, suore, laici, catechisti e giovani ci mettiamo in ascolto dell’unica Parola che ci è offerta, come facciamo peraltro già nell’Eucaristia domenicale. Ma lo facciamo non seguendo il percorso delle letture domenicali che quest’anno sarà il vangelo di Marco, ma il vangelo di Giovanni perché il vescovo ce lo ha consegnato come libro biblico per la preghiera e la meditazione personale e comunitaria.
Quindi è un atto di obbedienza che facciamo qui questa sera, non solo al nostro vescovo, ma al Signore, che attraverso i suoi discepoli ha ispirato questo vangelo.
Il vangelo di Gv è un vangelo che per tanto tempo è rimasto nel dimenticatoio, forse perché difficile, forse perché molto simbolico, forse perché molto elevato dal punto di vista teologico. Lo si riteneva anche poco attendibile dal punto di vista storico, soprattutto per la cronologia degli avvenimenti della vita di Gesù, invece la moderna esegesi ha rivalutato questo vangelo anche sotto questo profilo.
Non c’è accordo unanime sull’identità dell’autore del IV vangelo, ma la tradizione lo attribuisce a Giovanni, il discepolo che Gesù amava. Ora non siamo sicuri che l’autore sia stato veramente Giovanni, e non siamo sicuri che Gv e il “discepolo che Gesù amava” siano la stessa persona. Ma mi piace pensarlo… e se il vangelo di Giovanni è stato scritto dal discepolo che Gesù amava, mi piace pensare, post-eventum, che questo sia il vangelo più amato da Gesù.
Questa sera insieme abbiamo letto il prologo del vangelo, un testo densissimo, molto bello, impegnativo per certi versi, che si può leggere come testo che ha un senso in se stesso ma ha la valenza di una introduzione a tutto il vangelo perché alcuni temi che nel prologo sono appena accennati, verranno ripresi e sviluppati nel resto del vangelo.
Solo alcuni esempi:
La questione da dove viene Gesù? Della sua identità:
In principio era il Verbo, e il verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Gv 8, 23: “E diceva loro: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù;”
Il tema della Vita, così come il tema della luce, che in Gv 8, 12, si fondono insieme: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Ma non voglio commentare questo testo che lascio alla vostra meditazione, vorrei invece partire dalla fine del vangelo, anzì dalle due finali di questo vangelo, perché è così ricco che ha due finali, due edizioni diverse.
Innanzitutto l’ultima finale, ci fa entrare in contatto con Giovanni dice:
“Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono molte altre cose compiute da Gesù, che se fossero state scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” Gv 21, 24-25.
Probabilmente hanno ragione gli esperti a dire, che questa seconda conclusione del vangelo non l’ha scritta Giovanni ma appartiene ad una scuola giovannea di suoi discepoli.
Ma immaginiamola per un attimo come autentica, e poi se è nel canone è pur sempre parola di Dio, quindi parola umana ma ispirata da Lui. Leggiamola non solo come una firma, o un’autenticazione di questa scuola giovannea per rendere quanto è stato riportato più autorevole; leggiamola non solo come la testimonianza del discepolo che Gesù amava, ma come un iperbole dell’amore di questo discepolo verso Gesù: “Vi sono altre cose compiute da Gesù, che se fossero state scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” Gv 21,25.
Ora, sono moltissime le cose compiute da Gesù, ogni vangelo non sono quello di Gv, non vuole essere la biografia esatta di Gesù: il vangelo non fa la telecronaca della vita di Gesù, è solo un segno, una testimonianza di quelli che hanno incontrato Gesù Risorto. Anche il discepolo che egli amava, non vuole e non può uscire da questa logica.
Sono molte le cose compiute da Gesù, ma possibile che il mondo non basti a contenere i libri che si potrebbero scrivere? È un cuore innamorato del suo Signore che può fare scrivere questo ma, è anche il fatto che il mondo pur essendo così vasto non può contenere gli esiti di una storia d’amore che continua anche oltre Gesù, passando attraverso i suoi discepoli e giungendo fino a noi. Le altre cose compiute da Gesù, lungo i secoli passati e quelle dei secoli avvenire, che compirà più tardi, fanno parte di un quinto evangelo che stiamo e si sta ancora scrivendo.
Ma veniamo alla prima finale:
“Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perchè crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.” Gv 20,30-31.
Gesù ha compiuto molti segni ma quelli raccontati nel vangelo di Giovanni, fatto nella prima parte di segni che Gesù ha compiuto: il miracolo a Cana, il segno del Tempio, la guarigione del figlio di un funzionario del re, l’infermo della piscina di Betzaetà, la moltiplicazione dei pani…ecc. sono stati scritti perché crediamo che Gesù è il Cristo. Questa finale ci dà l’orizzonte, è stata posta alla fine ma forse doveva essere collocata all’inizio ancora prima del prologo. Scopo di tutto l’evangelo è …perché crediate!!! Una sola è l’opera da fare, da compiere, un’opera che in realtà, non è un’opera, ma è la fede. La fede in Gesù, il Cristo.
Si può credere a Gesù, come a un grande personaggio, a un uomo di grandi virtù morali, generoso, buono, capace di compiere grandi segni, altra cosa è credere che Gesù è il Cristo, cioè il figlio di Dio. Credere che Gesù sia il Verbo e il Verbo era Dio, ma non solo che Gesù è il Verbo, ma che il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda, la sua dimora in mezzo a noi.
La sua schekinà (*Spirito Santo), la sua presenza in mezzo noi, la sua Kabod, la sua gloria. Dio nessuno lo ha mai visto. Chi di noi può dire di avere visto Dio? Nessuno, in realtà il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato, ce lo ha esegezzizato, ce lo ha mostrato. Guardando a Gesù possiamo dire di vedere Dio, “Chi vede me, vede il Padre”.
Ora uno potrebbe pensare che per Gesù sia facile, compiere tutto questo, in fondo è figlio Dio, è una persona con due nature una umana e una divina, “che fatica” fa a mostrarci il Padre? Qui sta lo scandalo: Gesù ci mostra il Padre non in quanto Dio, ma in quanto uomo, non come Verbo soltanto ma come Verbo incarnato, non nella sua divinità ma nella sua umanità.
Se è facile credere in un Gesù solo come uomo esemplare, è altrettanto facile credere in un Gesù solo Figlio di Dio. Più difficile è crederlo Figlio di Dio che si è fatto carne, forte era questa fede che anche nella sua prima lettera l’apostolo Giovanni lo sottolinea:
“Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio” 1 Gv 4, 2-3.
Qualche tempo fa era facile incontrare delle persone che dicevano: “Io credo in Gesù Cristo, ma nella Chiesa no”. Ora, forse si assiste anche al contrario: “Sì alla Chiesa”, perché è utile, fa tante opere di carità, è una agenzia di servizi che ci vuole, male non fa… “Ma Gesù Cristo no”. In circolazione ci sono molti cristiani devoti che credono nella chiesa, ma in Gesù Cristo non ci credono più, o non ci hanno mai creduto.
Don Alberto.